Afrodiscendenti che con la volontà di creare valore economico si riconnettono ai propri antenati…

Ecco la storia di Assita, figlia del rinascimento africano, credente nella potenza del proprio lignaggio…
Di cosa ti occupi?
Sono un’imprenditrice ed economista, mi sono laureata in economia alla triennale a Palermo, dove sono anche nata. Attualmente mi sto laureando alla magistrale a Parma sempre nell’ambito economico, ma a livello internazionale e conduco anche della ricerca in maniera privata sui legami che intercorrono tra l’imprenditoria ed il rinascimento africano, il cosiddetto Afrobusiness. Parallelamente mi sto specializzando nello studio di linguaggi informatici per la programmazione.
Come mai lo studio dell’ Afrobusiness e pensi di farlo anche in maniera formale in un futuro?
Perché ho capito che l’Africa, ma soprattutto i paradigmi africani sono dei presupposti giusti per creare dei nuovi modelli di business che conducano ad un nuovo modello economico, basato su valori diversi in grado di dare una risposta reale alle questioni ambientali, sociali e culturali. Sì, vorrei contribuire alla formalizzazione e alla volgarizzazione dell’afrobusiness/afroeconomy come una branca degli studi economici. Ciò significa da un lato sperimentare l’efficacia delle prassi di cui sono promotrice, attraverso la creazione di imprese innovative e competitive, dall’altro significa riuscire a tradurre i concetti e le prassi economico-sociali africani e renderli comprensibili alla comunità scientifica convenzionale. Attualmente posso dire di essere alla fase di sperimentazione diretta.
Questi modelli sarebbero adatti per tutto il mondo o solo per l’Africa?
In tutto il mondo, poiché credo ci sia una coscienza sempre più crescente che il modello economico capitalista ha diverse lacune; basti pensare all’impatto ambientale, povertà diffusa, accentuazione delle diseguaglianze sociali e soprattutto in termini di sostenibilità per l’uomo stesso. In quanto sistema-mondo abbiamo sperimentato diversi modelli economici, quello socialista (non solo sovietico), e quello capitalista che ha prevalso, ed in effetti nessuno di questi ha dato risposte efficaci ai nostri problemi e credo sia arrivato il momento di dare spazio alla sperimentazione africana. Però bisogna iniziare da noi stessi, in quanto africani e afrodiscendenti a valorizzare e formalizzare l’afrobusiness nel nostro continente e tra la nostra diaspora per poi condividerlo su scala globale.
Il fatto di essere una donna africana e quindi di appartenere ad una minoranza da valore al tuo operato?
Sicuramente ha un valore aggiunto, ma non è intrinseco alla mia pelle o al mio genere, è legato al mio grado di consapevolezza e di coscienza di cosa significa abbracciare quella che chiamo la mia “missione faraonica” (ognuno di noi ha una propria autentica “missione faraonica”) e questo significa abbracciare anche il paradigma africano. Per abbracciare il paradigma africano la prima operazione da fare è quella di “scrollarci” di tutti i pregiudizi, tutte le convinzioni limitanti che abbiamo nei confronti dell’Africa, del pensiero africano e di noi stessi. La seconda cosa è avere curiosità ed essere convinti che ogni popolo su questa terra ha ed ha avuto qualcosa da offrire all’umanità, ciò significa che anche noi africani lo abbiamo, ma bisogna semplicemente riscoprirlo, bisogna avere fame di conoscere la nostra storia e avere sete di innovare e reinventare il nostro futuro.
Cosa rappresenta per te l’imprenditoria e qual è il legame tra impresa e cultura?
Per me l’imprenditoria è una Conditio Sine Qua Non per poter raggiungere quella emancipazione economica e sociale della comunità africana del continente e nel nostro contesto della diaspora africana in Europa o nel mondo. L’imprenditoria è una strategia sociale, nel senso che in un dato momento storico, una data categoria investe nella produzione di beni e servizi per poter nel corso del tempo raggiungere un certo tipo di autonomia ed un peso sociale. Per fare questo però bisogna avere una grande volontà di potenza sul modello dei nostri antenati, una vera e propria missione faraonica collettiva. Il mio obiettivo è quello di trasmettere ai miei fratelli e sorelle che non sempre bisogna perseguire carriere nei sistemi di produzione di terzi, ma è possibile raggiungere una ascesa sociale attraverso la creazione di sistemi economici autentici.
Esiste una grande connessione tra imprenditoria e cultura, la cultura di un popolo si traduce in valore economico. Noi per esempio abbiamo dei piatti tipici dei gruppi di appartenenza e che ci caratterizzano, questo fattore culinario si può tradurre in business e ancora il Bogolan in Mali o il Faso Dan Fani in Burkina Faso fa si che si possa creare un sistema di fashion afro inspired autentico. Ultimamente ho constatato che molti africani e afrodiscendenti si stanno ria ppropriando della propria cultura e stanno creando delle imprese partendo da essa e con la nostra startup ISHANGO vogliamo facilitare proprio questo processo.
ISHANGO? Di cosa si tratta?
Insieme ad altre due colleghe sono fondatrice di Ishango Afrobusiness Development and Growth una startup che si occupa di valorizzare, accompagnare e far crescere le imprese dei giovani africani, afrodiscendenti nel mondo. Ishango, ha un significato molto forte, ci ricorda il primo oggetto di calcolo nella storia dell’umanità, l’osso di Ishango, ritrovato nell’attuale Congo. Per noi, Ishango significa la giusta misura, la matematica, la precisione con cui vogliamo offrire il servizio ai nostri clienti. La cosa più interessante di Ishango è il suo modello di business, il Network Business Model. Questo è basato sull’interazione diretta tra gli utenti, che riesce a decentralizzare la creazione del valore economico e a democratizzare la prosperità economica. La scelta di questo modello per me è la scommessa di tutta una vita, e il successo di Ishango andrebbe a confermare la mie intuizioni sui trend economici del futuro e darebbe molta credibilità all’afrobusiness come scienza.
Che cos’è il Network Business Model e sarà quindi il modello prediletto nel futuro?
Questo modello rientra nelle famiglie di: Sharing Economy, Gig economy, Platform Based Economy e rappresenta un business in cui non c’è l’impresa tradizionale che fa “ precipitare” dall’alto i suoi servizi e prodotti ed i clienti hanno la sola decisione di acquistare o no. In questo modello l’azienda diventa un’entità fra diverse entità a pari livello e non c’è più quella verticalizzazione tra impresa e cliente, ma persiste un rapporto orizzontale in cui i clienti/utenti creano valore per altri utenti senza l’intermediazione diretta con l’azienda, quindi l’azienda diventa garante e “orchestratrice“ di questa interazione. Sicuramente sarà il modello prediletto perché c’è una conversione mondiale alla digitalizzazione e all’interconnessione fra essere umani e quindi le imprese si dovranno confrontare con utenti che sono self-reliable, utenti e persone che hanno infinite alternative e che possono auto-soddisfare i propri bisogni con i propri pari.
Dimmi qualcosa della tua vita, cosa di caratterizza…
Fin da piccola sono sempre stata fra le più brillanti della mia classe. Ho condiviso due famiglie, una famiglia biologica ivoriana e l’altra di “adozione” di italiani autoctoni che mi hanno aiutato mia madre dal momento della mia nascita, e che tuttora considero genitori di adozione e quindi sono stata educata sia all’ivoriana /mandengue, ma anche all’italianità e dell’essere siciliana con principi di famiglia e condivisione e posso dire che questi due spunti mi hanno permesso di avere una visione del mondo più ampia. Mi caratterizza l’audacia e la determinazione fin da quando ero piccola ho sempre saputo che ero destinata a fare grandi cose e per nessun momento della mia vita, anche nei momenti più difficili, ho pensato che il mio sogno fosse troppo grande per me. Certo sono cosciente che affronterò diverse difficoltà, ma la mia determinazione e il motivo per cui faccio quello che voglio fare è al di sopra di tutto e quindi ci riuscirò. La mia audacia, il mio coraggio sono triplicati quando ho riscoperto la grandezza del popolo mandingue e dei miei antenati storici e di lignaggio. Attraverso la ricerca ho riscoperto i personaggi storici che hanno rifiutato in maniera categorica l’oppressione dell’imperialismo e hanno deciso di rivendicare la propria grandezza…e questo mi fa capire che devo farcela perché i miei antenati l’hanno fatto prima di me e devo passare il testimone ai miei figli.
Vorrei che tu mi raccontassi del tuo percorso identitario, come ti sei sentita nella tua infanzia/ adolescenza e come ti percepisci ora…
Non è stato un percorso tutto positivo, ho avuto dei momenti incertezza identitaria, dovuti al fatto che a volte subivo alcune battute poco simpatiche dai miei compagni di scuola, ma il fatto che io abbia avuto dei genitori che erano molto impregnati nella loro cultura di origine, non mi ha fatto sentire complessata rispetto agli altri bambini. Sapevo di vivere in un contesto diverso, ma il fatto che a volte la domenica mangiavo il fufu invece che la lasagna non era un difetto. Non mi sono mai sentita in mancanza culturale, perché le crisi nascono quando si pensa di essere in difetto, che manchi qualcosa, ma per me non è stato così. Piuttosto è il fattore economico che mi ha condizionato, mi sentivo in carenza da quel punto di vista e tendevo ad associare la prosperità economica al fenotipo bianco. Prendo come esempio Frantz Fanon che nel suo libro “Dannati della Terra” afferma che ai tempi della colonizzazione i neri non volevano essere bianchi, ma volevano essere al posto (sociale) dell’oppressore e avere le stesse possibilità…poi ho capito che ognuno doveva essere responsabile del proprio Status e della propria prosperità infatti non posso negare il fatto che al di là dell’attivismo sociale c’è un grande fattore di motivazione personale. Accedere ad una classe sociale superiore rispetto a quella di provenienza farebbe sicuramente la fierezza di tante generazioni e di tutta una famiglia…
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